La normativa e il caso in esame. Il Sindaco del Comune di Trezzo sull’Adda (Mi), con l’ordinanza n. 8 del 27 gennaio 2020 (in vigore, per espressa previsione contenuta nell’ordinanza stessa, fino al 31 dicembre 2020), ha disciplinato tra le altre cose gli orari delle sale giochi e scommesse, disponendo la chiusura dalle 19.00 alle 1.00.
Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso una società operante nel settore del gioco nel territorio comunale. In seguito all’udienza del 3 marzo 2021, il TAR per la Lombardia si è pronunciato con la sentenza 778/2021 che qui si analizza.
Le condizioni di procedibilità del ricorso. Essendo oramai cessati gli effetti dell’ordinanza, il ricorrente afferma di essere comunque ancora interessato alla decisione per quel che concerne gli aspetti risarcitori. Ricorda il Collegio che, a questi fini, “il risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa non può prescindere dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest’ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante dal provvedimento illegittimo e colpevole dell’Amministrazione” (citando la sentenza 7622/2020 del Consiglio di Stato).
Il Collegio, dunque, procede alla verifica della spettanza del bene della vita analizzando le censure di natura sostanziale presentate dal ricorrente.
Il principio di proporzionalità. In merito al primo motivo di ricorso sollevato dall’esercente, il Collegio afferma che non può essere ravvisata alcuna violazione del principio di proporzionalità nel provvedimento di limitazione degli orari di apertura delle sale giochi e scommesse, dal momento che sono “notorie le esigenze legate alla tutela della salute pubblica e alla prevenzione del fenomeno socio-patologico della ludopatia, poste alla base della limitazione degli orari di apertura delle sale per il gioco lecito”: si tratta dunque di esigenze idonee sia a motivare l’atto del Sindaco, sia a “comprimere parzialmente le libertà economiche garantite dai trattati UE”.
A ciò si aggiunge anche la considerazione, mutuata dalle sentenze 465/2020 del TAR Emilia-Romagna e 4509/2019 del Consiglio di Stato, che il limite di apertura per 8 ore giornaliere deve essere ritenuto “rispettoso in concreto del principio di proporzionalità”.
La disparità di trattamento tra sale gioco e tabaccherie. Il ricorrente, inoltre, lamenta una disparità di trattamento tra sale gioco/scommesse e tabaccherie, in quanto la limitazione oraria si estende solo alle prime.
Anche in questo caso il TAR respinge la censura: decisiva è la considerazione dei giudici che non vi può essere identità tra le due situazioni di fatto, in quanto solo nelle sale gioco/scommesse “l’attività ludica costituisce l’oggetto esclusivo dell’esercizio, mentre nell’ipotesi della tabaccheria l’utilizzo degli apparecchi di gioco è solo eventuale e avviene in un contesto ove si svolgono prioritariamente altre attività commerciali”, richiamando in questo caso l’argomentazione del TAR Liguria, sentenza 53/2020.
La consultazione ex art. 108 della legge regionale 6/2010. Il TAR si esprime, infine, su un motivo di ricorso di natura procedimentale: veniva infatti esposto dall’esercente che il Sindaco, nell’adottare l’ordinanza in esame, avrebbe omesso di acquisire il parere, obbligatorio ma non vincolante, della Commissione di cui all’art. 78 della legge regionale della Lombardia 6/2010.
Tale Commissione, ai sensi dell’art. 78, è istituita dai Comuni ed è “composta da rappresentanti delle associazioni dei pubblici esercizi, delle organizzazioni sindacali dei lavoratori del settore, delle associazioni dei consumatori e degli utenti e della CCIAA” (ossia Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura).
Il TAR considera fondata questa censura, in quanto l’art. 108 della medesima legge prevede che nell’ambito dell’esercizio dei poteri del Sindaco in materia di orari debba essere “sentito il parere” di questa Commissione.
Tuttavia, trattandosi di un motivo di ricorso di carattere esclusivamente procedimentale, questo non rileva ai fini della pronuncia in esame, incentrata per le ragioni sopra esposte sull’accertamento della spettanza del bene della vita (e quindi sugli aspetti sostanziali). Il Collegio, pertanto, dichiara improcedibile il ricorso.
(a cura di Marco De Pasquale, Master APC Università di Pisa)