La normativa e il caso. Il Comune di Borgo Val di Taro (Pr), con la deliberazione della Giunta comunale n. 17 del 2018, ha provveduto ad effettuare la mappatura dei luoghi sensibili prevista, nell’ambito delle norme sul distanziometro, dalla legge regionale 5/2013 dell’Emilia-Romagna.
A seguito di quest’atto, a due esercizi (sala giochi e bar con apparecchi da gioco) veniva comunicata la violazione delle distanze minime (nello specifico, da una palestra privata), imponendo la chiusura della sala giochi e il divieto di installare nuovi apparecchi da gioco.
Avverso questi provvedimenti, i due esercizi interessati hanno presentato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica; il Consiglio di Stato si è pronunciato con il parere definitivo 1347/2020 che qui si analizza.
La configurazione della palestra privata quale luogo sensibile. Il nucleo fondamentale della questione consiste nella considerazione, o meno, della palestra privata nei termini di luogo sensibile. Secondo la ricostruzione del ricorrente in tale provvedimento vi sarebbe, innanzitutto, un problema di competenza: non riconoscendo, infatti, la palestra privata come luogo sensibile secondo le categorie previste dalla legge regionale (nel caso di specie, non trattandosi né di impianto sportivo né di luogo di aggregazione giovanile), il ricorrente sostiene che solo il Consiglio comunale (e non la Giunta) avrebbe potuto ampliare l’elenco dei luoghi sensibili ai sensi dell’articolo 6, comma 2-quater, della legge regionale 5/2013.
Il Consiglio di Stato ricostruisce la questione in termini differenti. Per prima cosa, condivide la conclusione che la palestra privata non possa essere considerata come un impianto sportivo: a quest’esito arriva anche grazie alla deliberazione del Consiglio Nazionale del Coni del 25 giugno 2008, secondo cui le palestre vanno ricondotte agli “spazi per le attività del fitness”.
Per quel che concerne la configurabilità della palestra privata quale luogo di aggregazione giovanile, e pertanto sensibile ai fini del distanziometro, il Consiglio di Stato subito chiarisce che la legge regionale citata non dà una definizione dei “luoghi di aggregazione giovanile”; spetta così ai Comuni, e non potrebbe essere altrimenti, identificare quei luoghi che effettivamente siano attrattivi per i giovani.
Nel caso di specie sembra essere decisiva la considerazione che all’interno della palestra in questione si svolgano diversi corsi regolarmente frequentati anche da persone minorenni, pur “potendo il gioco attrarre diverse fasce di età”.
Da queste considerazioni il Consiglio di Stato trae la conclusione che “stante le finalità di effettiva tutela e prevenzione nei confronti dei giovani perseguite dalla legislazione nazionale e regionale e dalla delibera comunale sulle distanze (…) possono presentare le caratteristiche sopra indicate (luogo di aggregazione giovanile) non solo le strutture che offrono servizi per favorire lo sviluppo e l’aggregazione di adolescenti, preadolescenti e giovani, ma pure strutture aventi finalità differenti o, addirittura, anche semplici spazi chiusi o aperti”.
La deliberazione di Giunta. Secondo i ricorrenti, trattandosi di un caso di applicazione dell’articolo 6, comma 2-quater, della legge regionale 5/2013, sarebbe dovuto intervenire il Consiglio comunale e non la Giunta.
Come si è appena visto, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la palestra privata potesse essere ricondotta ai luoghi sensibili già previsti dalla legge regionale: il Comune, pertanto, non ha fatto altro che “da[re] attuazione alla superiore fonte normativa primaria che già individua e tipicizza tra i luoghi sensibili”.
L’atto in questione, infine, va sicuramente annoverato tra quelli a contenuto generale, sfuggendo così, dunque, anche alle rigide norme in tema di partecipazione al procedimento, che pure erano state contestate dai ricorrenti.
(a cura di Marco De Pasquale, Master APC Università di Pisa)