Premessa. Il Comune di Venezia, con il Regolamento Giochi approvato con delibera del Consiglio Comunale 50/2016, ha disciplinato tra le altre cose anche gli orari di apertura delle sale gioco e di funzionamento degli apparecchi da gioco. In particolare, si prevede che le sale possano restare aperte fino alle ore 21.30, mentre gli apparecchi possono essere messi in esercizio tra le ore 09.00 e le ore 13.00 e tra le ore 15.00 e le ore 19.30.

Dopo l’approvazione della Delibera della Giunta Regionale 2006/2019, che ha stabilito alcune fasce di interruzione del gioco (7.00-9.00; 13.00-15.00; 18.00-20.00) omogenee per tutto il Veneto, è intervenuto nuovamente il Comune di Venezia con la Nota P.G. 2020/0041555 del 22.1.2020: con tale Nota è stato chiarito che la messa in funzione degli apparecchi avrebbe dovuto osservare, per effetto della sovrapposizione della disciplina regionale sul regolamento comunale, il nuovo orario 9.00 – 13.00 e 15.00 -18.00, con una riduzione quindi di un’ora e mezzo del funzionamento degli apparecchi di gioco rispetto a quanto stabilito dalla norma locale.

L’operatore del gioco ricorrente ha impugnato il Regolamento e ogni altro connesso, contestando sia la disciplina degli orari di apertura delle sale gioco (in particolare, delle Sale Bingo, rispetto al Casinò e ad altri esercizi generalisti) sia gli orari di funzionamento degli apparecchi (dogliandosi soprattutto della sommatoria tra orari comunali e regionali).

Il TAR Venezia si è pronunciato con la sentenza 1892/2022, respingendo il ricorso del gestore della sala bingo e confermando la disciplina degli orari introdotta nel Comune di Venezia.

Sul potere dei Comuni di disciplinare gli orari. In primo luogo, non vi sono dubbi secondo il TAR in ordine al potere delle Amministrazioni comunali di disciplinare gli orari delle sale da gioco o di accensione e spegnimento degli apparecchi durante l’orario di apertura degli esercizi: il fondamento deriva, innanzitutto, dall’art. 50, comma 7, del TUEL ed è espressamente confermato dall’art. 20 della legge regionale n. 6 del 27 aprile 2015.

Non solo: secondo i giudici, “dal composito e complesso quadro giuridico che regola la materia, emerge non solo e non tanto la legittimazione, ma l’esistenza di un vero e proprio obbligo a porre in essere, da parte dell’amministrazione comunale, interventi limitativi nella regolamentazione delle attività di gioco, ispirati per un verso alla tutela della salute, che rischia di essere gravemente compromessa per i cittadini che siano giocatori e quindi clienti delle sale gioco, per altro verso al principio di precauzione, citato nell’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)”.

Sull’istruttoria. Una volta ricostruito il potere comunale di intervenire sugli orari, i giudici passano ad analizzare le modalità con cui tale potere è stato esercitato, analizzando in particolare l’attività istruttoria compiuta.

In questo senso il TAR richiama espressamente la sentenza TAR Lombardia 2182/2022: “la determinazione dei limiti orari per l’esercizio del gioco d’azzardo lecito non può mai prescindere da un’accurata indagine sull’effettiva sussistenza dell’interesse contrapposto a quello dei titolari delle autorizzazioni rilasciate dalle Autorità di P.S., e sulle modalità e la misura in cui tale interesse concretamente si manifesta nello specifico contesto socio economico e territoriale di riferimento. Solo una volta ricostruito in sede istruttoria tale presupposto di fatto, potranno invero individuarsi i limiti di funzionamento alle attività imprenditoriali del settore in modo proporzionato, equilibrato e ragionevole”).

Sostiene il TAR Venezia che, nel caso di specie, l’attività istruttoria è stata corretta, con il coinvolgimento delle associazioni di categoria e, soprattutto, con la sottoscrizione di un protocollo d’intesa tra diverse realtà in cui sono state concordate varie attività volte a contrastare il fenomeno della ludopatia.

In particolare, dai dati dell’Osservatorio Locale sulle dipendenze patologiche e del Report Ser.D. sul Gioco d’Azzardo Patologico dell’Azienda ULSS 12 Veneziana dell’8 aprile 2016 è emersa la “nettissima prevalenza della dipendenza da gioco legata all’uso di slot machine e apparecchi VLT e la concentrazione del gioco maggiormente nelle ore serali e notturne (dalle 17.00 alle 23.00)”. Ciò consente di ritenere l’intervento regolatorio il “frutto di una ponderata scelta, basata su apposita attività istruttoria e, dunque, debitamente motivata”.

Sul piano, invece, del rispetto del principio di proporzionalità e della complessiva sostenibilità delle misure di limitazione oraria per gli operatori del gioco, i giudici rilevano che “il decorso del tempo dall’entrata in vigore delle disposizioni, mai sospese, senza che parte ricorrente abbia dimostrato il venir meno delle condizioni per la sopravvivenza dell’azienda” prova “l’adeguatezza e proporzionalità della misura che, a prescindere dalla rilevazione puntuale degli effetti della stessa, non ha determinato la paventata cessazione dell’attività”.

Sulle disparità di trattamento con altre realtà. I giudici respingono anche le censure del gestore della sala bingo in merito all’asserita disparità di trattamento tra le sale giochi, il Casinò di Venezia e gli altri esercizi generalisti.

Per il Casinò, in particolare, vale l’argomentazione secondo cui è una realtà a sé stante, istituita con regio decreto e soggetta a una particolare disciplina, e dunque non è comparabile con le ordinarie sale da gioco.

Il TAR non accoglie nemmeno la doglianza del ricorrente rispetto alle eventuali differenze orarie con altri Comuni limitrofi: in primis, perché anche questi ultimi hanno sottoscritto lo stesso Protocollo d’intesa del Comune di Venezia, il che rende presumibile che abbiano adottato discipline orarie simili (sul punto, parte ricorrente non produce alcun principio di prova contraria). Inoltre, l’obiettivo perseguito non è quello di risolvere tout court il problema della ludopatia, bensì, chiariscono i giudici, “quello di cercare di disincentivare il gioco rendendo più difficile l’accesso ad esso e, in questo senso, anche il costringere il giocatore a uno spostamento non può essere ritenuto privo di rilevanza in un’ottica di disincentivazione al gioco”.